Lo smartwatch è un orologio di ultima generazione che non è soltanto un orologio ed ingloba in sé molte altre funzionalità, esattamente come fa uno smartphone di ultima generazione. Anzi, lo smartwatch è ritenuto essere un’estensione fisica dello schermo del proprio telefono. Per il momento, questo particolare orologio è un apparecchio che si mette al polso ma che non si può usare in mancanza dello smartphone.

I due apparecchi devono camminare insieme e pare che gli esperti stiano già lavorando per renderlo autonomo in un prossimo futuro. Ci si chiede seriamente quale sia il senso di questa sperimentazione dal momento che la grande rivoluzione tecnologica dello smartwatch è stata già etichettata come un vero flop.

Il motivo è semplice: lo smartwatch fa in sostanza delle cose che sono capaci di fare anche gli smartphone a fronte di caratteristiche costruttive che lasciano a desiderare (sono pesanti da portare al polso, hanno schermi che non sono il massimo a livello di definizione e non hanno delle batterie performanti).

Lo smartwatch può aiutare a tenere sotto controllo i parametri vitali (e fornire dati alla stregua di un cronometro) durante le sedute di allenamento, può scattare delle foto o registrare brevi video, può aiutare a chiamare un numero preimpostato nel corso di un’emergenza con il clic di un solo pulsante, e può aiutare un impiegato a svolgere il suo lavoro d’ufficio. In sostanza, i consumatori hanno capito subito che non valeva spendere del danaro per una sorta di apparecchio “doppione”. Tutte le promesse che davano l’immagine di uno smartwatch capace di inviare pagamenti in modo più veloce accedendo al proprio conto bancario non sono mai state esaudite.

Le vendite sono state talmente deludenti da spingere le più grandi case produttrici di smartphone (Samsung, Alcatel, Hawei, Mototrola ed altre) a non produrre nemmeno un modello di smartwatch per il 2017. Le cose vanno male anche per la blasonatissima Apple del compianto Steve Jobs: l’Apple Watch, sebbene sia stato ampiamente pubblicizzato, ha fatto registrare poco più di 6 milioni di vendite (cifre aggiornate ai dati diffusi circa un anno fa).

Si tratta di cifre buone, ma non troppo buone dal momento che si tratta di un’azienda abituata a calamitare il mercato con ben altri risultati. La Pebble, che fu la prima startup a dare avvio alla vendita di questo prodotto che avrebbe dovuto rivoluzionare la vita di tutti i nativi digitali, è addirittura fallita e ha ceduto i suoi brevetti alla Fitbit. Anche Fitbit, però, pare navigare in brutte acque.