Madama Butterfly è una delle più grandi opere di Giacomo Puccini, grande compositore del XIX secolo. La composizione è suddivisa in tre atti (in origine due) e fu definita “tragedia giapponese”. L’opera è basata sulla tragedia Madame Butterfly di David Belasco, tratta dal racconto di John Luther Long. Fu rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano il 17 febbraio 1904, ma fu un grande fiasco nonostante il grandissimo potenziale dell’opera. Dopo l’insuccesso al teatro ambrosiano, Puccini decise di attuare alcuni cambiamenti che permisero di alleggerire l’opera: optò per la soppressione della maggior parte delle battute di Pinkerton sugli usi giapponesi. Queste modifiche garantirono che la successiva rappresentazione al Teatro Grande di Brescia il 28 maggio 1904 fosse un successo.

Il primo atto è ambientato nel XX secolo e si apre con Pinkerton, ufficiale della marina degli Stati Uniti, che si unisce in matrimonio con la giovane quindicenne Cho Cho-san ( in inglese Butterfly). La quindicenne, a causa della morte del padre, fu costretta a diventare una geisha e, desiderosa di riscattarsi, aveva acconsentito al matrimonio; d’altro canto Pinkerton, consapevole delle antiche usanze locali che gli permettevano di lasciare la moglie dopo un mese di matrimonio, decide di sposarla mosso da un inaspettato furore passionale. Tuttavia la cerimonia viene interrotta da uno zio di Cho Cho-san che comunica alla giovane fanciulla di esser stata diseredata: ella, infatti, ha rinunciato al suo nome e al suo credo religioso per venire incontro a quello del marito. Così la cerimonia si chiude con questo triste annuncio che farà sì che la giovane si leghi sempre di più al marito, avendo perduto la famiglia.

Il secondo atto vede la giovane Butterfly lasciata a sé stessa: Pinkerton, ormai partito da tre anni, aveva lasciato la sposa in compagnia della serve Sukuzi. Butterfly custodisce però un segreto: prima della partenza del marito, lei era rimasta incinta. Motivo per cui, anche se in miseria, continua ad aspettare il marito rifiutando la corte del principe Yamadori. Una sera, scrutando l’orizzonte, vede avvinarsi una nave, la stessa sui cui Pinkerton si era imbarcato: presa da un impeto di gioia decide di addobbare la casa, ma nessuno si presenta.

Il terzo atto vede il ritorno di Pinkerton, in compagnia della sua nuova compagna Kate: Pinkerton comunica a Butterfly di voler prendere il figlio e di volerlo portare negli Stati Uniti. La donna sconvolta, una volta affidato il figlio alle cure di Pinkerton e Kate, si toglie la vita pugnalandosi al collo.

L’opera lascia abbastanza stizziti e arrabbiati: un crescendo emozionale che culmina con la morte della giovane. Al primo impatto è la figura di Pinkerton a lasciar amareggiati: egli non è in grado di rendersi conto della profonda devozione che Butterfly gli riserva, né del suo amore incommensurabile sino al tragico gesto del suicidio. Ma se ci sofferma bene, ciò che lascia notevolmente stupiti è la pervicacia di Butterfly che, nonostante l’abbandono, continua a dipingere Pinkerton come un uomo fedele, rispettoso e sincero. Difatti l’atteggiamento di Pinkerton appare opportunistico sin dal matrimonio ma, lei giovane e innamorata, si lascia sedurre dal sogno di un amore corrisposto e felice e di un futuro migliore. Ma del resto, chi da giovane non si è lasciato ammaliare dal sogno di un avvenire felice?